28/08/08

 

Fumo di Londra

Rimango convinta che se Greenwich fosse a Londra, come una ristretta minoranza sostiene, sarebbe raggiungibile in qualche modo che non sia camminare sotto al Tamigi osservando con sospetto le infiltrazioni. Ad ogni modo la passeggiata mi ha consentito di farmi ritrarre con espressione pirlesca sul meridiano più colonialista del globo, raggiungendo la sayeret felafeli impegnata in una vivace discussione sul valore artistico dei bicchieri d'acqua, interrotta proprio quando prometteva di vertere sul dibattutissimo tema della sessualità delle schiere angeliche dalla necessità di non perdere l'ultima corsa fluviale, che attraversava le vestigia dell'imperialismo dell'età moderna fino al suo epicentro. La sera ha sciorinato cibi caraibici, rum in tutte le sue possibili manifestazioni terrene e una panoplia di chiacchiere che andava dalla a di afghanistan alla z di zibellino.
Il giorno dopo il carnevale di notting hill cominciava presto e, anche se una sequela di imprevisti e di sticazzi ha rallentato il piano di marcia, abbiamo impavidamente attraversato cortine fumogene di porchetta e psicotropi nonchè scenari apocalittici di pogatori invasati, sambiste depresse e varia umanità, non senza conseguenze dato che a fine giornata nell'inminoranza manor individuavo sembianze antropomorfe nelle prese di corrente e non distinguevo una mensola da un gatto, stato che non mi ha ovviamente impedito di apprezzare come di consueto il cibo brit.
La mattina seguente, mentre io tornavo tra applepies, cavalli, conigli selvaggi e villages of the damned nella fin troppo amena green belt, altri si recavano alla Tate traendone evidente ispirazione.
Per gli organizzatori è in corso il processo di beatificazione, quelli che c'erano si sono confermati una compagnia brillante e piacevole as usual e quelli che non c'erano dovrebbero rosicare più compostamente.

02/08/08

 

Cronache tirreniche

Dopo una giornata a Scarlino e una all'Elba cominciamo a scendere verso sud. Giannutri e il Giglio sono due splendidi megascogli che svettano selvatici davanti a quell’isolotto mancato dell’Argentario a rammentargli la sua bellezza pre-agnellica. Ci fermiamo in rada a Giannutri tra rocce arbusti e qualche pino e i polmoni ringraziano quell’aria salmastra incurante delle varie antropizzazioni di transito. Nuoto tra pesci e ricci mentre il sole tramonta, di notte, tra birrette, penne al dente e partite a marafone, sorge un’enorme luna vermiglia e si alza un vento forte che colora i miei sogni con intense ansie da disancoraggio.
Ripartiamo, ma vento e mare non han voglia di mostrarsi ospitali, scelgo una darsena di riparo a casaccio sul portolano, attratta dalla sua forma uterina e dal nome di uno degli imperatori che fecero grande Roma. Il porto è ben curato ma avvolto nel nulla che l’aurelia reca con sé.
Ripartiamo accompagnati da mare e vento intensi, a sinistra scorre la costa laziale senza manifestare particolari attrattive. Osservo distrattamente Fregene e Fiumicino attendendo la manifestazione del Tevere e dell’isola sacra, ma vedo solo frangiflutti, aeroplani, petroliere in fila al largo e onde alte. Ormeggiamo in una darsena dal pretenziosetto nome di porto di Roma, rutilante di quel coattume che solo l’hinterland dell’urbe sa offrire. Ci assegnano un posto inferiore di un metro del necessario e al suono di  venghi venghi sbrindelliamo un parabordo e una canna da pesca, fondamentalmente un bilancio estremamente positivo.
Il giorno dopo l'equipaggio, compatto meno una, risponde entusiasta all'imperativo fantozziano del gitone nella città eterna con una scaletta da urlo comprensiva di fori, altaroni, fontanoni, cupoloni e magnata  trasteverina, io li seguo con sopracciglio snobbish e mi rifugio a trarre boccate di ossigeno e di birra nel tinello di Rosa.
Raggiungiamo quelle perle di roccia delle pontine, il paese di  Ponza, che dal mare appare un mosaico dai toni confettosi, si rivela la solita promenade di zeppe, oli solari e  aperitivini.
Ventotene invece mi dispone subito di buon animo, più aspra e salmastra ha un’atmosfera scabra e malinconica vagamente bretone, le tinte delle case sono consunte dalla salsedine e i gabbiani razzolano, i fondali sono meravigliosi anche per il mio galleggiamento sgangherato e mi consentono di amicare con i pesci. Pinnando a caso percorro una fenditura in una  roccia incrostata di viola e di arancio e dopo pochi metri sott’acqua mi trovo in una serie di micropiscine indecise se appartenere al mare o alla terra, mi ci fermo insieme al tempo e considero seriamente la possibilità di trasformarmi in anemone di mare.
La navigazione verso Ischia è ventosa e pensosa, per un paio d'ore mi cimento dignitosamente con la cima del gennaker e verso sera mi appollaio a prua, il vento e la prospettiva rendono la forma delle vele delle barche all’orizzonte simili ad enormi onirici uccelli marini, immobili e giganteschi guardiani silenti in un de chirico mai dipinto.
Ischia si manifesta accogliente come sempre e meno caotica del solito, mentre a Capri mi colpisce quanto sia facile trasformare il paradiso in lounge bar. Al molo nemmeno la notte e  lo sciabordio del golfo possono chetare il suono dei generatori di pacchianate da un fottio di zeri. Il giorno dopo sguazzo con poca convinzione tra faraglioni giri turistici grigliata inclusa e yacht con eliporto, nel tardo pomeriggio si riparte verso ischia in una meravigliosa navigazione di spruzzi di onde, vento e tramonto. La notte, alla fonda davanti a S.angelo, è un cliché da carosello napoletano, acqua calmissima, refolo di ponente, spicchio di luna, luci del paese che si rifrangono e canzuncelle partenopee provenienti da terra, apprezzando l'evidente sforzo di regia dell'ente turistico mi abbandono alle onde ed al sonno.
Da domani si comincia a ritornare.

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