06/03/07

 

the eye of the beholder

Allora, ci sono questi ricercatori che hanno individuato un algoritmo per la bellezza, non c’è trucco e non c’è inganno, funziona. Perchè stupirsene d’altronde, è da tempo che sappiamo che l’armonia risiede nell’equilibrio e che phi governa l’universo delle forme. Bellezza, rassicurante e apollinea come una statua di Fidia, come un sonetto di Petrarca, come una giornata al mare, come una città abitabile, come una velina che tace, come una regola.
La mia nonna paterna non oltrepassò mai la terza elementare e coltivò campi altrui per tutta la vita. Non ricordo di averla mai vista sorridere, nè abbigliata di qualcosa che non fosse nero. Pochi mesi prima di morire mi raccontò di quando conobbe mio nonno. Nonostante una decisa povertà lessicale quella donna sapeva raccontare. Quando apriva bocca le sue parole scarne e secche diventavano pennellate implacabili che dipingevano ed afferravano, non indulgeva nella narrazione ma fotografava con una lucidità entomologica, il suo pensiero era privo di orpelli come la sua vita. Mi narrò di una festa, e di mio nonno appena tornato dal fronte del Piave, di lei diciassettenne e impacciata e di lui trentenne e buon ballerino, colsi l’orgoglio di essere stata scelta in un ballo da un uomo tanto più adulto in mezzo a tante, lei che mai fu bella, mi narrò di un valzer. Poi commentò “non ho più ballato così” con uno sguardo un po’ sognante che mai le avevo visto. Ecco, lo sguardo di quella vecchia che mai fu nè bella nè dolce nè elegante in quel tinello illuminato dal neon fu di una bellezza folgorante. Alla faccia degli algoritmi.

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